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Strane Straniere: Abbiamo incontrato la regista Elisa Amoruso e il cast del film

Strane Straniere è il documentario, diretto da Elisa Amoruso – che lo ha anche co – scritto insieme alla soggettista e antropologa Maria Antonietta Mariani – che vede al centro della propria narrazione le esistenze di cinque donne diverse legate da un fil rouge comune: tutte sono approdate in Italia da straniere e qui sono riuscite a costruirsi una propria stabilità economica diventando imprenditrici. Ne parlano alla stampa la regista, la co – sceneggiatrice e soggettista, la montatrice Irene Vecchio, i delegati di produzione Matrioska e Rai Cinema insieme al cast composto da Radoslava Petrova, Sihem Zrelli, Ana Laznibat, Ljuba Jovicevic e Fenxia “Sonia” Zhou, tutti non attrici, tutte donne spontanee e coraggiose pronte a rischiare mettendosi in gioco in prima persona.

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Il documentario uscirà nelle sale l’8 Marzo distribuito da Istituto Luce Cinecittà, proprio in concomitanza con la Festa della Donna e con la premiazione nell’ambito del Premio Afrodite 2017, iniziativa nata dall’Associazione Donne nell’Audiovisivo per celebrare l’eccellenza femminile nel campo del cinema, dello spettacolo, della televisione, dello sport, del giornalismo ma soprattutto nella società per via del loro impegno rilevante, come è accaduto quest’anno alla Amoruso con il suo documentario.

In Strane Straniere si raccontano le storie di ex migranti che si sono affermate e spingono, quindi, a parlare dell’argomento (i flussi migratori) non in chiave d’emergenza. Da dove nasce la scelta delle storie?

Elisa Amoruso: «il progetto nasce da un’idea antropologica precedentemente avuta da Maria Antonietta Mariani, antropologa, che ha rintracciato le diverse storie di donne straniere giunte in Italia che hanno trovato la forza di adattarsi e di reagire diventando delle imprenditrici una volta giunte -per ragioni diverse- nel nostro paese. In fase embrionale si trattava semplicemente di un progetto fotografico condotto con il patrocinio del Comune di Roma e della Regione Lazio; ma dopo essere stata contatta dalla produzione Matrioska si è passati dal progetto fotografico al film. All’inizio erano coinvolte ben 15 donne per un totale, quindi, di 15 storie (un numero irrisorio, in effetti).»

Maria Antonietta Mariani: «le storie sono parecchie ma nessuno aveva mai avuto l’ardire di guardarci dentro: si vedono le migrazioni solo dal loro “lato oscuro” legato alla fatica e alla sofferenza – che ci sono, senza dubbio- ma non va tralasciato anche l’aspetto legato al coraggio, con storie che raccontano una vita che inizia dopo l’accoglienza.»

A livello stilistico colpisce la ricerca di alcune immagini che immortalano i soggetti velandoli attraverso vetri e tende: hanno un significato specifico? E per quanto riguarda il cast: dopo esservi viste di nuovo sul grande schermo, che effetto provate?

Elisa Amoruso: «un’esigenza solo estetica e stilistica era necessaria per trovare un linguaggio specifico e speciale per un documentario -in un’epoca in cui ormai non c’è più la struttura classica che è completamente saltata, ormai possiamo parlare dii veri e propri film- nella contemporaneità il documentario ha la stessa dignità artistica di un film di finzione, ed è diventata una scelta semplicemente di contenuto una volta spiate le donne nelle loro vite reali, trasformando ed influenzando lo stile estetico e il gusto. Loro vivono loro vite reali e io, in quanto regista, mi limito a spiarle attraverso uno sguardo velato e mai diretto, proprio per star loro vicino durante la quotidianità raccontando il tutto in chiave intima.»

Cast: «non siamo attrici ma abbiamo comunicato, senza reticenze e mostrando le nostre vite mettendoci a nudo, il forte messaggio che tutto si può fare. Non abbiamo mai recitato, non ne siamo capaci, ma abbiamo solo cercato di dare visibilità a queste storie che altrimenti sarebbero state dimenticate. Questo per far capire, soprattutto alle donne che, intorno a loro, ci sono tante donne straniere che non sono una minaccia. Un seguito ideale di questo documentario potrebbe essere incentrato sui figli degli stranieri, ad esempio. La nostra intenzione era quella di mostrare come affrontare le difficoltà con allegria e natura propositiva. L’uscita del film – riprese incluse – ha cambiato la nostra immagine nel quartiere, e ogni premio per Elisa è più che meritato; inoltre la pubblicità fornita dal film ha permesso di capire meglio cosa facciamo anche per chi sta intorno, come le persone del quartiere.»

Maria Antonietta Mariani: «ci interessava unire l’arte e l’antropologia, mostrando a tutti un lavoro che, di solito, rimane chiuso al pubblico perché privo di un incontro diretto, quando invece l’importanza fondamentale è comunicare agli altri, aprirsi. È necessario un contatto diretto per capire meglio: non eravamo interessate solo al lavoro statistico. Comunque a livello statistico è un fenomeno importante quello dell’imprenditoria migrante: un dato rilevante ma poco conosciuto per questo motivo è fondamentale usare l’arte per raccontare qualcosa di altrimenti non facile visibilità.»

Qual è stata la difficoltà più grande che avete incontrato nel vostro confronto con la società italiana?

Cast: «sicuramente la difficoltà di inserirsi in un tessuto sociale, proprio a partire dalle procedure per farsi riconoscere, per farsi mettere in regola, perfino per quanto riguarda il riconoscimento delle lauree; a queste si aggiungono le difficoltà linguistiche, e una volta superate quelle si può superare davvero tutto.»

Fino a che punto si sono spinte, le protagoniste, nel raccontare la loro vita personale: seguivano un copione tracciato o no?

Cast: «quello che avete visto è tutto vero: nessun filtro e nessun copione. Elisa ha immortalato la nostra vita di tutti i giorni, ed è stato tutto molto spontaneo anche davanti alla MdP; certo, c’era un po’ di disagio ma neanche troppo. Più noi le chiedevamo di non insistere sulla parte famigliare e più intima, più lei finiva sempre per farci domande proprio su quella, insistendo su quei punti nevralgici.» 

Quanto sono durate complessivamente le riprese e il montaggio del film?

Elisa Amoruso: «all’inizio avevamo concordato con Rai Cinema di raccontare le storie di solo tre donne (che rappresentassero la Cina, l’Africa e l’Europa dell’Est); poi abbiamo dovuto cambiare una delle protagoniste e aggiungere la bella storia delle galleriste; in tal modo siamo salite a quattro storie e cinque protagoniste che si sono aggiunte. Le numerose fasi di montaggio sono state seguite e sostenute fin da subito da Rai Cinema, con ben tre montatrici che si sono avvicendate lavorando sul film, perché il montaggio è stata la parte più difficile senza ombra di dubbio. Certo, anche le riprese non sono state così facili: le protagoniste non erano tutte a Roma, e spesso era difficile incontrarle perché erano impegnate in mille attività diverse. Le riprese sono durate da marzo a giugno e ci sono voluti ben due anni per il montaggio.»

Irene Vecchio: «la difficoltà principale era trovare un modo per scovare un filo conduttore reale per queste donne nel raccontare le loro vicende, nonostante ci fossero spesso delle discrepanze tra testo scritto e girato.»

Strane Straniere è un titolo evocativo, che rimanda al concetto stesso di stranezza e di stravaganza che appartengono, in qualche modo, alla cifra stilistica chiave della tua filmografia da regista: quali sono i tuoi riferimenti cinematografici?

Elisa Amoruso: «quando mi è stato proposto il documentario, il tema mi ha attratto subito molto, mi ha ricordato il mio precedente lavoro Fuori Strada nel modo di raccontare le minoranze facendo arrivare le loro storie a tutti, al pubblico completo. Sono partita dal presupposto che gli stranieri e le loro storie non vengono valorizzate spesso, in modo tale da raccontare queste storie ordinarie ma straordinarie nella loro forza. In più c’è stato lo sforzo di trovare un altro elemento – anche in fase di montaggio – che potesse renderle importanti e accomunarle. Per quanto riguarda il cinema di riferimento, mi sono sempre ispirata al cinema dei fratelli Dardenne, per il loro sguardo unico nel raccontare le storie di emarginati rendendole così vicine a tutti, un po’ però come è riuscito a fare anche Edoardo De Angelis con il suo Indivisibili.»

About Ludovica Ottaviani

Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Classe 1991, da più di una decina d’anni si diverte a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Si infiltra nel mondo della stampa online nel 2011, cominciando a fare ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Tom Hiddleston, Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.

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