Opera seconda di Giovanni Virgilio, Malarazza ci porta dentro la vita della periferia catanese, mettendoci davanti alla dura realtà, senza farci sconti. La periferia come simbolo di sogni traditi e trappole dalle quale sembra difficile liberarsi.
Rosaria (Stella Egitto) è una giovane mamma, moglie di Tommasino Malarazza (David Coco), esponente di una nota famiglia mafiosa del quartiere Librino a Catania. Se una volta il nome Malarazza faceva tremare chi lo pronunciava, oggi non è più così e Tommasino è solo un boss in declino, privo di mezzi e denaro. Maltrattata e umiliata sistematicamente dal marito, che le chiede persino i soldi che guadagna giornalmente con il suo lavoro in lavanderia, Rosaria ha paura a ribellarsi e può contare solo sull’aiuto di suo fratello Franco (Paolo Briguglia), un transessuale che vive ai margini della società, ricevendo clienti in un pied-à-terre all’interno del quartiere di San Berillo. Quando Tommasino uscirà di scena, si aprirà una possibilità di cambiamento per tutti, ma la libertà non è sempre facile da ottenere.
Cosa funziona in Malarazza
“Ci sono frammenti di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono nascosti nelle città infelici.” Questa è la frase, tratta da Le città invisibili di Italo Calvino, che il professore di Antonino scrive sulla lavagna. Ed è la città di Catania, con la sua anima, l’essenza dell’opera di Giovanni Virgilio: la città specchio di chi la abita, con le sue mura e i suoi palazzi, muti e partecipi di fronte a tutto ciò che gli scorre davanti. Non c’è redenzione, non ci sono rimpianti, vige la legge del più forte che non ammette esitazioni.
Importante risulta il lavoro degli attori: si distinguono per credibilità ed efficacia Paolo Briguglia, nei panni del travestito Franco, capace di interpretare tutta l’amarezza della sua condizione; Stella Egitto nei panni di Rosaria e Cosimo Coltraro che fotografa con precisione un altro boss locale con un debole per i trans, Pietro detto U porcu. Accurata è stata la scelta delle musiche, che comprendono un brano cantato da Arisa in portoghese, una canzone del cantante neomelodico napoletano Matteo e due composizioni rap che ben si inseriscono a commento delle dinamiche narrate.
Perché non guardare Malarazza
Lo stile molto asciutto della riuscitissima prima parte tende a virare verso una certa drammaticità utilizzata per enfatizzare una sorta di denuncia che il regista vuole compiere. Un piccolo film di genere che non riesce ad essere autoriale e coraggioso fino in fondo.
Tenendosi lontano dagli stereotipi del genere e dalla banalizzazione dei personaggi, Malarazza è un’opera cruda, potente, che ci fa vedere con occhi diversi, esenti da qualsiasi giudizio, la Catania che prova a svegliarsi, quella dei nemoledici, del rap di periferia, delle donne che provano a liberarsi dalle umiliazioni e dalla violenza.