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Pericle il Nero abbiamo incontrato il cast del film con Riccardo Scamarcio in concorso a Cannes 2016

Noir dell’anima, Pericle il Nero è una discesa lenta ed inesorabile nel maelstrom di un’anima inquieta, che si agita – sospesa – tra l’oscurità della notte, la monotonia dell’asfalto, della propria esistenza, il grigiore plumbeo dei palazzi e del paesaggio di Calais, fino ad incontrare una svolta umana verso un’improvvisa consapevolezza, che possa spingere questo “tirapugni” della criminalità organizzata ad un’evoluzione da uno stato ferino ad una condizione più umana, reintegrandosi in società. È un film sulla solitudine e sulle solitudini che si incontrano, prima ancora che sugli affari sporchi di piccoli gangster in trasferta.

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È l’unico film italiano presente nella selezione ufficiale del Festival di Cannes 2016, nella sezione Un Certain Regard: parliamo dell’ultima fatica di Stefano Mordini (Acciaio, Provincia Meccanica), Pericle il Nero, che vede protagonisti Riccardo Scamarcio e Marina Foïs in un film tratto dall’omonimo romanzo noir scritto da Giuseppe Ferrandino.

Per presentarlo alla stampa prima della sua uscita in sala – il prossimo 12 Maggio – erano presenti il regista Mordini, gli attori Scamarcio (qui anche in veste di produttore con la sua Buena Onda insieme a Valeria Golino e Viola Prestieri) e Foïs insieme alle sceneggiatrici Francesca Marciano e Valia Santella.

L’idea del film – racconta Mordini – nasce da un suggerimento di Scamarcio, un libero adattamento dal romanzo noir di Ferrandino, un’opera dalla struttura complessa ed articolata, difficile da adattare per il grande schermo (visto che si presenta come un continuo flusso di pensieri sciolti del protagonista Pericle Scalzone) soprattutto perché dotato di un plot troppo vago per poterlo adattare al cinema. La seconda scelta radicale che hanno dovuto compiere riguardava soprattutto il luogo dove ambientare la vicenda: siccome nessuno di loro è napoletano (e il romanzo è ambientato nella città partenopea) hanno deciso di “trasportare” l’intera vicenda in Nord Europa per poter così azzerare tutte le relazioni elaborate nel libro, concentrandosi piuttosto sulla natura di questi italiani emigrati “trapiantati” in un paesaggio che non è loro affine e non gli appartiene. La volontà di Mordini, Marciano e Santella era quella di soffermarsi sulla figura di Pericle in quanto orfano alla ricerca di una propria famiglia.

Scamarcio, proprio a tal proposito, riflette sull’approccio che ha assunto per interpretare Pericle: l’inizio del film, così gangsteristico, un po’ come accade con il romanzo suggerisce un tipo di clima e un’atmosfera specifica; ma la piega che prende è totalmente spiazzante ed inaspettata, avviandosi verso un’analisi introspettiva di un personaggio così complesso e particolare, di un adolescente candido ed ingenuo “ingabbiato” nel corpo di un uomo, che di mestiere “spacca il culo alla gente” (come scrive Ferrandino nell’incipit del romanzo). Un uomo che non ha mai goduto di grande considerazione da parte della gente e del quale, invece, scopriamo la psicologia più profonda e nascosta grazie al flusso ininterrotto dei pensieri. Con Mordini hanno lavorato molto sul look del personaggio, cominciando due anni fa a costruirlo: per questo motivo, in qualche modo, il ruolo di produttore della pellicola è stato propedeutico per la preparazione di Pericle, per conoscerlo meglio e scavare nelle pieghe della sua personalità. La Foïs aggiunge – da parte sua – che invece ciò che l’ha catturata del suo personaggio è proprio il mistero legato a quest’ultimo, la possibilità di non conoscerlo fino in fondo (proprio a partire dalla sceneggiatura), potendosi così godere la routine di questa donna misteriosa e inafferrabile.

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Una domanda riguarda in prima persona le sceneggiatrici: come si sono approcciate al lavoro di adattamento dal romanzo al grande schermo.

La prima decisione fondamentale è stata quella legata alla scelta del set, della location dove ambientare le vicende di Pericle: l’entusiasmo di girare in Belgio le ha subito spinte ad adattare il romanzo cambiando direzione, spostandosi dalla Napoli descritta e scegliendo un panorama più noir, trasformando il personaggio non solo in un orfano di due figure genitoriali, ma anche di un luogo che può considerare davvero patria o casa. La pellicola è fedele al romanzo di partenza ma, allo stesso tempo, se ne allontana prendendone le distanze soprattutto per quanto riguarda la forma: hanno optato per una divisione ideale in tre parti (letteralmente, tre atti) con un inizio molto cupo e dal ritmo sincopato, una parte centrale più luminosa (quella legata al luogo dove Scamarcio incontra la Foïs, a Calais) e infine un atto finale molto più teatrale e drammatico dove anche i personaggi assumono delle connotazioni più iconografiche, meno complesse e le parole mandano avanti l’azione (della quale l’ultima parte sembra essere depauperata, risultando più statica). Il plot letterario interessante ma complesso da adattare in chiave cinematografica (perché abbastanza debole e poco chiaro, scarno dal punto di vista dei colpi di scena e della tensione) ha permesso invece, in fase di scrittura, di approfondire le backstories dei singoli personaggi e soprattutto del protagonista.

Due donne dietro la sceneggiatura di un film di genere tipicamente maschile, ma anche una forte presenza femminile dal punto di vista produttivo: la Buena Onda ha riposto fiducia, grazie anche al sostegno di Rai Cinema e del Ministero che hanno permesso di ultimare le riprese. E questo ha rappresentato l’ostacolo più grande: a livello attoriale, invece, è Riccardo Scamarcio a riconfermare il grande feeling nato tra lui e il regista Mordini, che non si conoscevano prima di iniziare le riprese; le sue idee riguardo all’interpretazione venivano accettate subito dal regista, anzi, venivano “intercettate” come sottili onde, confermando l’incredibile sintonia sorta tra i due interlocutori, che si sono ritrovati coinvolti in una sorta di danza, un balletto, dove nessuna indicazione ha mai portato l’attore fuori strada. La volontà ulteriore di Mordini era quella di allontanarsi dal ritratto della violenza tramutata in eroismo, lontana dalla miseria legata alla criminalità. Quest’ultimo, insieme alle sceneggiatrici, ha deciso di sviluppare la macro-storia portante del film a partire proprio dai personaggi minori citati nel libro: da lì, il passaggio dalla finzione alla realtà ha permesso loro di allontanarsi da quella dimensione “celebrativa” della violenza, troppo spesso in voga nei film (e nei serial) odierni. Il tema a cui era più affezionato era quello della solitudine: trasportare questa dimensione in un contesto “di genere” ha permesso loro di giocare e sperimentare. Già scegliere la via del genere – appunto – permette una libertà d’azione diversa, plasmando gli stilemi tradizionali a proprio piacimento per creare degli ibridi. Gli elementi tipici del noir (ad esempio) vengono miscelati tra loro creando soluzioni alternative: la fotografia prettamente notturna, la voce fuori campo, la notte e l’esistenzialismo diffuso; elementi che inoltre si confondono con l’attenzione specifica verso le sorti di Pericle, che ha attratto Scamarcio soprattutto per la sua amoralità e per la possibilità di valicare i giudizi e i moralismi della società, superando un certo involucro esterno nel quale si ingabbiano delle anime, delle quali è possibile scrutarne e carpirne l’anima solo apprezzandone la sostanza.

L’ultima parte della conferenza riguarda la scelta, da parte dei fratelli di Dardenne, di rivestire il ruolo di co-produttori di un film palesemente lontano dal loro gusto cinematografico: i due noti registi hanno appoggiato artisticamente il lavoro, considerando il prodotto come un ibrido tra il film di genere (noir) e l’autorialità, elementi che li hanno spinto a collaborare (fornendo informazioni sui luoghi- il loro Belgio e Liegi – e alcuni membri della troupe). Riconferma, questo elemento, la coralità di questo film: nasce come un lavoro di equipe basato, soprattutto, sul concetto di “rimozione” e rischio, cercando di seguire in modo fedele il testo filmico (la sceneggiatura) ma, allo stesso tempo, lasciando che l’energia degli attori permettesse ai personaggi di “nutrirsi” e di emergere, in modo dirompente, sul set.

About Ludovica Ottaviani

Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Classe 1991, da più di una decina d’anni si diverte a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Si infiltra nel mondo della stampa online nel 2011, cominciando a fare ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Tom Hiddleston, Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.

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