Dopo la positiva accoglienza alla 67° edizione del Festival di Cannes, culminata con il premio nella sezione Un Certain Regard, la metafora sulla diversità e l’emarginazione del regista ungherese Kornél Mundruczó arriva nelle sale italiane in punta di piedi ma forte di una metafora ideologica e di un messaggio sociale carico di contenuti.
Strutturato come una fiaba moderna e caratterizzato da una struttura narrativa che mescola la fiaba al dramma fino ad arrivare alle venature horror, White God è l’ultimo grido di protesta cinematografico nei confronti dell’intolleranza contro la diversità. Attraverso una prospettiva simbolica, il regista ungherese pone i cani abbandonati come metafora sociale di una classe meno privilegiata e meno fortunata. Dopo il suo abbandono Hagen, il cane protagonista del film, scoprirà a sue spese cosa significa passare da una situazione agiata ed amata a essere reietto della società.
Immagine bruttale e tagliente dell’insofferenza bigotta delle classi privilegiate, White God, è un intrigante grido di opposizione alla stupidità e cattiveria dell’essere umano, alla sua presunzione di essere migliore degli altri soprattutto se deboli, emarginati o poveri. Un film che fin dal titolo, Dio Bianco, guarda alla simbologia per rappresentare e denunciare ogni tipo di stupido preconcetto mentale. Non tutti avranno la capacità di capire o approfondire le tematiche di un’opera fin troppo ambiziosa e di non facile digeribilità ne collocazione. Vittima dei suoi continui cambi di rotta White God si compiace troppo della sua struttura metaforica infischiandosene completamente, e fin troppo ambiziosamente, di smarrire le attenzioni dello spettatore occasionale. Un errore per un certo verso paradossale per un’opera che guarda all’emarginazione.