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Vizio di Forma di Paul Thomas Anderson – Recensione Film

Paul Thomas Anderson è senza dubbio un regista molto talentuoso, abituato a valorizzare i suoi attori  ed incapace di realizzare film di durata inferiore alle due ore, se si  escludono il folgorante esordio Sydney ed il tremendo Ubriaco d’Amore. Questa sua capacità non poteva non incontrarsi con uno degli autori più prolissi d’America, uno che meriterebbe il Nobel quanto Anderson merita l’Oscar in quasi tutte le sue manifestazioni: Thomas Pynchon. Famoso per lo stile prolisso, lo schivo romanziere diede alle stampe Vizio di Forma nel 2011, con una sorta di rottura stilistica rispetto ad altre sue opere del passato, adottando uno stile più semplice e creando una sorta di connubio tra Hunter Thompson e Raymond Chandler, in quello che potremmo definire toxic-gonzo-noir. In pratica una bomba totale!!

Era naturale, per Anderson, continuare anche in questo caso la propria collaborazione con uno dei più grandi dissociati della storia del cinema: Joaquin Phoenix nei panni di Doc Sportello. La storia è presto detta: California, fine anni 60. L’investigatore privato Sportello, uomo dai molti spinelli e dal cuore infranto, riceve una visita da parte della sua ex, una incredibile gnocca di nome Shasta, che gli commissiona un’indagine. In un crescendo di situazioni surreali, lisergiche ed al limite della comprensibilità Doc riuscirà a risolvere l’arcano (nemmeno lui sa bene come). O forse no, sarà stato l’arcano a risolvere i suoi problemi?

Stilisticamente il film riprende la struttura narrativa del libro, con una parte introduttiva lineare ed uno svolgimento  completamente avulso dalla linearità temporale, in cui le droghe prendono spesso e volentieri il sopravvento ed alcuni personaggi grotteschi appaiono qui e li. L’ambientazione da piena summer of love Californiana è qualcosa in più d’una dichiarazione d’intenti ed alcuni salti temporali già presenti nel romanzo giustificheranno la vostra sensazione di non aver capito assolutamente nulla dell’indagine di Doc Sportello. Fotografia come sempre brillante, che ricorda da vicino le atmosfere polverose del West, i fumettoni e la fumosità in cui perennemente si muovono i protagonisti del film. Alcuni tagli di inquadratura, alcune situazioni, i dialoghi non potranno non ricordarvi Paura e Delirio a Las Vegas, ma gli anni 60 sono stati il terreno di conquista sia di Thompson che di Pynchon, gli autori da cui a piene mani è stato attinto per realizzare i due film.

Il cast è straordinario: oltre al sopra citato Phoenix, perfetto nel calarsi nei panni d’un investigatore hippy, capace come pochi altri attori di modificare anche il proprio aspetto in base alle esigenze di copione, troviamo altri divi della Hollywood un po’ alternativa, ma sempre mainstream. Il primo da citare è senza dubbio Benicio del Toro, ormai esperto nel portare sullo schermo avvocati fuori di testa ed avvezzi all’abuso di sostanze di varia natura, abituati a muoversi sul confine legale/illegale con una disinvoltura che rasenta l’incoscienza. La sua ex Valeria Golino sta per sposare Riccardo Scamarcio: tra i due in comune riesco solo a vedere le occhiaie, perchè in fatto di recitazione Benicio ha pochi eguali e, di sicuro, non li troverete in Puglia. C’è poi il redivivo Martin Short (Salto nel buio, I tres Amigos), genio made in Canada che riesce a dar vita allo spassosissimo dentista cocainomane e dongiovanni Rudy Blatnoyd. Josh Brolin, con la sua mascella volitiva ed il suo fisico da duro è perfetto nel ruolo dell’ambiguo ispettore Bigfoot. C’è Reese Whiterspoon, che riesce a passare dai soliti ruoli di fidanzatina d’America alla parte d’un procuratore col debole per i freakettoni. Pochi minuti a disposizione, ma molto incisivi. Curiosa la chimica che l’attrice riesce a creare ogni volta con Joaquin Phoenix, le loro parti di coppia hanno sempre un’ottima resa. C’è una particina per la signora Anderson, Maya Rudolph, così come c’è una grandiosa performance del sempre ottimo Owen Wilson, tra i tre fratelli senza dubbio il più talentuoso e molto a suo agio nei panni di personaggi strampalati e fuori dagli schemi. Nei panni di Shasta c’è Katherine Waterston, in formissima figlia d’arte (abbiamo visto il babbo in Urla del Silenzio e nella saga Law and Order). C’è Eric Roberts che, di fatto, recita pochissimo, ma è sempre presente da inizio a fine film. Infine curiosità musicale: nei panni della maga-freak-amica di Doc, Sortilege, troviamo l’arpista di fama internazionale Joanna Newsome.

Questo rende Vizio di Forma un film prettamente attoriale? in parte si, ma la mano del regista, con i suoi tratti peculiari si avverte per tutta la pellicola, creando una chimica tra direzione e recitazione quasi perfetta. La durata tende un po’ a penalizzare la visione da ultimo spettacolo, soprattutto a causa della scarsa linearità della storia e della forte componente lisergica del racconto. La coralità tipica della filmografia Andersoniana viene ben rappresentata dalla chimica nata tra i vari protagonisti, immersi in una serie di microstorie che compongono un più grande mosaico.

La colonna sonora: una pellicola che inserisca nei propri credits un pezzo dei Can (Vitamin C) ha già azzeccato tutto per quel che riguarda le musiche d’accompagnamento.

Conclusioni: film quasi perfetto, tosto, impegnativo, ma che riesce ad intrattenere. Consigliato l’utilizzo di qualcosa di psicotropo prima della visione, senza esagerare, altrimenti non capirete nulla. Meritava qualche premio pesante durante la notte dell’Academy.

About Davide Villa

Più di trenta e meno di quaranta. Ama: Il punk Rock, l'as Roma, Tarantino, Maurizio Merli, Stallone, Schwartzy, Indiana Jones, Spielberg, Lenzi, Leone, John Milius e gli action movie. Odia: la juve, le camicie nere, Servillo, Lynch e Lars Von Trier. Film preferiti: Giù la testa, Bastardi senza gloria, Troppo forte, Compagni di scuola, Milano Calibro nove. Doti innate: la modestia, l'eleganza e la sobrietà. Difetti: pochi e di scarsa importanza.

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