Ennesimo copia e incolla, Kristy di Oliver Blackburn, è un’occasione mancata in un cinema a cui manca il coraggio.
Nel 2007 Quentin Tarantino cavalcò il B-movie, lo fece mettendo la critica al centro della storia attraverso un attacco mirato alla fragilità delle istituzioni nelle piccole cittadine americane regalando al pubblico un intrattenimento completo da ogni punto di vista. La cosa che salta subito all’occhio invece quando si guarda Kristy è che abbiamo a che fare con un’opera tecnicamente valida ma che sembra voler rimanere volutamente mediocre, magari per paura di essere presa troppo sul serio.
Attraverso una sotto-trama che poteva rivelarsi interessante, ma che si schianta più violentemente di una Dodge Charger del 1969 su di un muro di cinta, la pellicola alterna al buon incipit d’apertura un epilogo che costringe lo spettatore a non prendere in considerazione niente di ciò che ha visto. Un vero peccato perché gli elementi intriganti non mancano, attenzione alla piastrina da militare indossata da uno dei personaggi verso la fine, così come lo stile. Tecnicamente parlando il lavoro svolto non è male per niente, i campi lunghi dei corridoi del dormitorio del college danno il giusto senso di angoscia (elegante e quasi impercettibile la citazione a Shining), buone anche le riprese aeree che trasformano la protagonista in un minuscolo puntino indifeso. Peccato che il tuo sia rovinato da un processo narrativo rivedibile con tanto di resa dei conti con il mostro finale. Neanche fosse un videogioco.
Niente da dire sulla giovane Haley Bennett ( su cui si regge praticamente tutto il film ), ne sulla controparte Ashley Greene che nonostante sia caricaturizzata e sfigurata, è e rimanere di una bellezza disarmante.
Leggero e a tratti inverosimile ma non necessariamente sciocco.