Dopo l’anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2015 e la presentazione europea nella sezione Panorama alla sessantacinquesima edizione del Festival Internazionale di Berlino, dove ha ottenuto il premio del pubblico, E’ arrivata mia figlia sbarca nelle nostre sale raccontando paradossi e differenze sociali di un Brasile ancora legato a vecchie gerarchie.
Il titolo originale del film Que Horas Ela Volta? (A che ora arriva lei?), la domanda che quasi sempre i bambini rivolgono a chi li sta accudendo per sapere quando la mamma tornerà, è fedele al senso di attesa che pervade l’intero film. Una famiglia bene di San Paolo affida il figlio alle cure di un’altra donna e quella stessa donna affida sua figlia a qualcun altro per potersi occupare di quello delle persone per cui lavora. Da questo paradosso prende il via l’intera struttura che è asciutta, quasi algebrica: inizia con la descrizione delle consuetudini e delle regole che governano i rapporti affettivi e sociali in una famiglia di ceto superiore a San Paolo. Poi l’attenzione si sposta su Jessica, la figlia della governante, che irrompe nel contesto domestico del tutto inconsapevole delle regole della casa e di conseguenza finisce con il valicare alcune linee di demarcazione e con l’occupare degli spazi che non le spetterebbero. Ovviamente viene espulsa da quegli spazi che non le apparterrebbero: tutto questo diventa il pretesto per mettere in discussione la madre stessa che fino a quel momento era rimasta nel suo ruolo di “donna di servizio” fino a rimescolare tutti i ruoli sociali e ad evidenziare che in realtà i “posti” che le erano stati assegnati non esistono più.
E’ arrivata mia figlia può essere considerato un film sociale, ma non solo. Anna Muylaert non scava morbosamente negli affetti, lascia che la storia fluisca e che le personalità emergano gradualmente nei loro aspetti più intimi. Il suo approccio diretto non intende né giudicare né esaltare i personaggi, vuole semplicemente mostrare la nuda verità.