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Blackhat di Michael Mann 01

Blackhat di Michael Mann – Recensione Film

Nessuno può aver nulla da obiettare sul fatto che Michael Mann sia uno dei principali registi ed innovatori del cinema d’azione. Da sempre mette in scena personaggi tormentati e disillusi, degli splendidi sconfitti, a prescindere dal fatto che si trovino dalla parte degli sbirri o dei malfattori. Molto incline al fascino romantico del criminale vecchio stampo e del poliziotto anticonformista, torna nelle sale con un nuovo lavoro dopo Nemico Pubblico, datato 2009.

Blackhat è un film particolare, che vorrei provare a dividere in due parti. La prima metà la potremmo definire un nerd noir, con una task force che indaga su una serie di devastanti crimini messi in atto da un hacker misterioso. Nella squadra troviamo due sbirri americani, uno cinese, la di lui sorella esperta di sicurezza informatica ed un genio dei computer riconvertitosi in galeotto e tirato fuori dal buco nero in cui si trovava da anni per collaborare con il team. In questo caso le indagini, la ricostruzione delle mosse avvenute nel mondo della tecnologia d’avanguardia, gli intrighi ed i sotterfugi la fanno da padroni.  La seconda parte del film è meno convincente, più smaccatamente action, a metà tra rincorsa, fuga e vendetta, con un cattivo che poteva essere disegnato in modo migliore e più approfondito ed un’immancabile caduta nel romanticismo inter razziale.  Qualche minuto di troppo, psicologie non molto approfondite e situazioni un po’ surreali rovinano quanto di buono costruito nella prima parte della pellicola.

La trama è presto detta: un incidente in una centrale nucleare cinese accende un campanello d’allarme. Quella che sembrava una tragica casualità viene ricollegata con un virus informatico, responsabile di alcune falle finanziarie globali e di altri tentativi di disastri nucleari negli Usa. Un ufficiale cinese, esperto di informatica, e sua sorella, che condivide la genialità del fratello, si recano negli Usa e mettono su un team di investigazione con due agenti Fbi ed un galeotto, compagno di studi al Mit di Boston col già citato cinese. In un girotondo globale tra Cina, USa ed Indonesia, l’indagine lascerà il campo alla vendetta personale ed alla fuga.

Le atmosfere sono quelle tipiche di Mann, con la fotografia un po’ patinata che conosciamo molto bene dai tempi della serie Miami Vice e che negli anni è diventata un marchio di fabbrica del regista statunitense. La sequenza iniziale ricorda da vicino quella del capolavoro assoluto di Mann, The Thief (1981, con James Caan), in cui si vedeva il dettaglio d’un trapano entrare dentro una cassaforte e piano piano aprirla spalancando le porte ad una storia di tragica ricerca della redenzione. Stessa cosa qui: la camera segue a velocità vertiginosa dei dati, che di microchip in microchip, di cavo in cavo, aprono la porta ad un crimine ed all’inizio d’una storia il cui fine ultimo è la rinascita d’un criminale un po’ romantico. Molto bello, come è abbastanza gradevole ed originale lo svolgimento nel mondo delle indagini tecnologiche. Abbiamo detto di come il film perda tensione nella seconda parte, più smaccatamente action, ma mi voglio soffermare su una similitudine con un film di Mann che ho di recente rivisto, ovvero la versione cinematografica di Miami Vice, con Colin Farrell e Jamie Foxx: un motoscafo naviga nel mar della cina, di notte ed in mezzo alle mille luci ipertecnologiche del paese asiatico. Scena quasi copiata appunto dal precedente film di Mann, a cui evidentemente piace molto la possibilità di grande respiro dell’inquadratura che una situazione del genere può regalare all’operatore. Il tocco del maestro c’è ed il cast non è affatto male: c’è il nuovo divo dell’action mondiale, Chris Hemsworth, Thor cinematografico, energumeno, protagonsita del pessimo remake di Alba Rossa (a proposito, un mio amico dice che il mondo si divide in due parti: chi apprezza Alba Rossa di Milius e gli altri) e belloccio quanto basta per guadagnare, con Ryan Gosling, Channing Tatum e Jason Statham l’olimpo in cui già dimorarono Stallone, Arnold e Bruce Willis negli anni 80 e 90. C’è la protagonista dell’ottima serie Le regole del delitto perfetto, Viola Davis, sempre risoluta e cazzuta, c’è Il caratterista Holt McCallany, insieme al divo cinese Leehom Wang…e poi c’è lei: Tang Wei. Conosciuta ed apprezzata in tutto il suo splendore con Lussuria di Ang Lee, bellissima e conturbante, non ottima nelle doti recitative, ma perfetta per il continuo sollazzo da super asian di cui, lo ammetto, sono continuamente vittima.

In generale il film è gradevole, più che sufficiente ed intrattiene, la suspance non è costante, ma tutto sommato tiene, gli attori fanno il loro. C’è però la continua sensazione che a volte manchi qualcosa ed a volte venga detto e fatto troppo ed in questa maniera il film perde di mordente. 15-20 minuti di troppo, ma il prodotto rimane comunque valido e consigliabile agli amanti di Michal Mann, che usciranno dal cinema in ogni caso soddisfatti.

About Davide Villa

Più di trenta e meno di quaranta. Ama: Il punk Rock, l'as Roma, Tarantino, Maurizio Merli, Stallone, Schwartzy, Indiana Jones, Spielberg, Lenzi, Leone, John Milius e gli action movie. Odia: la juve, le camicie nere, Servillo, Lynch e Lars Von Trier. Film preferiti: Giù la testa, Bastardi senza gloria, Troppo forte, Compagni di scuola, Milano Calibro nove. Doti innate: la modestia, l'eleganza e la sobrietà. Difetti: pochi e di scarsa importanza.

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