Lungo il fiume Inguri, tra due nazioni in conflitto, la Georgia e l’Abcasia, si formano, durante la primavera, delle piccole isole chiamate Corn Island, dove i contadini coltivano il mais: avventurosamente, un vecchio contadino e sua nipote si installano su questa terra di nessuno, per coltivarvi il necessario per sopravvivere all’inverno, ma i pericoli sono molteplici.
Selezionato nella short list dei dieci migliori film stranieri per gli Oscar 2014, Corn Island del regista Giorgi Ovashvili, è un’opera cinematografica di struggente bellezza in cui si mescolano e si uniscono temi e problematiche differenti tra loro: il costante ed infinito rapporto conflittuale tra uomo e Natura, le rivalità etniche e geopolitiche e il tumultuoso sviluppo dell’adolescenza. Abbiamo incontrato a Roma, nella splendida cornice di Villa Torlonia, il regista Giorgi Ovashvili e gli abbiamo fatto, a tal proposito, qualche domanda:
Prima di tutto, volevo farle i miei complimenti per il film, un film poetico, davvero particolare che attraverso lo svolgersi delle stagioni attraversa gli stati d’animo dei personaggi e la ciclicità della vita. Visto che è un film giocato molto sugli sguardi, sui silenzi e sui non detti, quali indicazioni ha dato alla protagonista che, per altro, è giovanissima?
“In genere quando inizio a lavorare e devo dirigere un film ho un percorso però mi affido molto all’intuizione, quindi parto da un rapporto di fiducia con gli attori. E dal momento in cui c’è questa fiducia è come se fossimo una sola entità che si lascia trasportare solo da questa intuizione.”
Protagonista del film è la natura che scandisce l’avvicendarsi delle stagioni e i ritmi vitali. Nella sua regia si è attenuto anche lei a questi ritmi? O ha “accelerato” alcuni momenti?
“Si, questo è un’aspetto che abbiamo preso molto in considerazione all’inizio perchè volevamo in qualche modo seguire quanto è più possibile la natura con gli ovvi limiti che poneva. Abbiamo iniziato a girare verso Aprile cercando di seguire il reale svolgersi della primavera sul fiume e abbiamo girato per circa 30 giorni, fino a fine Maggio, per tutta la prima parte del film, fino alla nascita delle prime piante di mais. Per girare la parte in estate abbiamo cercato di accorciare i tempi, piantando in serra, ad una settimana di distanza l’una dall’altra, il mais. Abbiamo preparato questa piantagione, in modo da averla pronta per le riprese. Quando l’abbiamo portata sull’isola e piantata di notte, è stata distrutta dal vento. E abbiamo capito che il mais cresciuto in serra era troppo debole per affrontare realtà sull’isola. Quindi per i successivi tre mesi abbiamo fermato le riprese e abbiamo coltivato mais all’aria aperta. E a Settembre siamo tornati sull’isola e abbiamo girato la parte dell’estate. E poi è arrivato l’autunno. Quindi così abbiamo girato l’avvicendarsi delle stagioni che segue la crescita del mais.
Un’ultima domanda, che poi è una mia curiosità, cosa trova il nonno all’inizio del film? Sembrerebbe un fischietto, simbolo del suo predecessore sull’isola?
“E’ un solo un bocchino della sigaretta. Simbolo della vita che precedentemente è stata sull’isola e che dà ancora una volta l’idea della circolarità della vita e del film.”